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"Come puntualizza Michel Onfray, sono davvero pochi i viaggiatori che 'distillano i propri spostamenti in una raccolta di versi'. E credo ci sia una ragione per questo. In fondo non è poi così difficile raccontare la sensazione che si prova a mescolarsi alla folla della metropolitana di Tokyo. E non lo è nemmeno raccontare il sapore di una scodella di ramen a cui ci si avvicina nel cuore della notte o il senso di spaesamento che si prova di fronte a una tenda che reca solo un aggraziato, e del tutto incomprensibile, ideogramma. Ma la prosa è inadatta a raccontare, senza rischiare il ridicolo, alcuni momenti, alcune immagini, specialmente in un Paese così complesso e lontano come il Giappone. Per esempio le rivelazioni sfuggenti, indecifrabili, che si manifestano di fronte a un giardino di pietra o le sensazioni contrastanti che prova un viaggiatore solitario nel momento in cui si interrompe il flusso dei pensieri eccitati dalla novità, dall'ebbrezza del sentirsi, semplicemente, lontani... I versi di Buonaguidi svelano che il segreto, in questi casi, è togliere, ridurre all'essenziale, che solo la poesia può raccontare certi frammenti di esperienza. L'invisibile." (dalla postfazione di Patrick Colgan)